DON LUIGI BOLLA UN CHIERICHETTO “AMICO DI S. BAKHITA”
S. Bakhita, ispirò anche Yankuam Jintia, ospite per 60 anni degli Achuar
Ci sembra doveroso non lasciare passare un evento straordinario, l’avvio della causa di beatificazione, a Lima lo scorso 27 settembre, di don Luigi Bolla, missionario salesiano di Schio che conobbe s. Bakhita.
La sua casa natale è quella col balconcino al secondo piano che si affaccia di fronte all’entrata della nostra scuola, dove c’era l’entrata dell’orto delle canossiane.
Luigi, nacque l’11 agosto del 1932 e partì per il noviziato dei salesiani il 15 agosto del 1948. M. Bakhita era mancata l’anno prima. “Quando il sacerdote le si avvicinava per comunicarla, si illuminava tutta e sembrava sciogliersi d’amore per Gesù!” Questo uno dei suoi ricordi di chierichetto che amava condividere quando tornava dalla missione e la visitava per parlarle ancora, per parlarci di lei.
Ci raccontò di grazie ricevute per sua intercessione, come quando, in preda a un forte mal di denti, la invocò attraversando la foresta e il male passò. Anche nelle lettere alla famiglia consigliava loro di rivolgersi all’intercessione di s. Bakhita.
Nel 1953, in viaggio verso il Perù, attraversando lo stretto di Gibilterra, vide per la prima volta un altro continente, l’Africa appunto. E qui pensò a come aveva desiderato andarci mentre ora era in viaggio per il Perù. Certamente Luigi conosceva gli aneliti di m. Bakhita, il desiderio che il suo popolo fosse visitato dai missionari. A questo si era reso disponibile quando nel 1943, a 11 anni, nell’oratorio salesiano, udì la VOCE: “Anche tu puoi essere sacerdote”. Il fratello Giorgio aveva già fatto quella scelta. L’anno successivo, dopo quel primo sì al sacerdozio, ecco la VOCE continuare a dirgli quanto si sarebbe compiuto: “Sarai missionario nella selva tra gli indigeni, porterai la mia parola a quei popoli e camminerai moltissimo.” Il diario del suo viaggio, oltre che a rivelare la sua interiorità, le amicizie coltivate, la sua capacità descrittiva, il legame con la famiglia, il suo fidarsi di Dio tanto da consegnargli tutto, è un riaffiorare di quella VOCE che gli aveva parlato di selva, di popoli, di cammino. E quel viaggio interiore, quella ricerca del significato della VOCE sentita da bambino lo conservò in cammino per tutta la vita.
Visse dapprima con gli Shuar in una missione che educava i giovani dei villaggi della foresta circostante, ma qui seppe di un popolo ancora più lontano nel fitto della selva. Considerava come il Vangelo tocca il cuore e cambia la vita solo se annunciato nella lingua nativa. Eccolo così a voler vivere l’invito del Concilio Ecumenico II all’inculturazione che per lui si trasformò in incarnazione. Chiese di vivere nello stesso habitat del popolo Achuar, senza possedere terra perché a loro appartiene e senza chiedere soldi a nessuno perché il suo dono era il Vangelo. Don Luigi fu assolutamente fedele a queste condizioni, molti dubitavano sarebbe stato possibile, ma sulla scia dei più grandi missionari, con l’incoraggiamento della Chiesa a perseguire questo stile di presenza, visse 30 anni tra gli Achuar dell’Equador e 30 anni tra quelli del Perù, in situazioni di maggior abbandono dei primi perché inospitale e difficoltosa da raggiungere la loro porzione di foresta.
Invitato come ospite a condividere i riti quotidiani della vita del popolo, ebbe modo di apprendere la loro sapienza sintetizzata in miti. Ci si rifaceva a questi per risolvere problemi emergenti. Con il sorgere del sole, prestissimo ogni giorno, ecco don Luigi unito al popolo per ascoltare i loro cuori, sorbendo tutti dalla stessa tazza una bevanda fermentata preparata dalle donne. In questi incontri gli fu possibile non solo apprendere ma anche proporre le sue soluzioni ispirate al Vangelo.
Il popolo che, al suo arrivo, era pronto ad uccidere chi fosse considerato responsabile di malattie, affidandosi unicamente all’autorità e giudizio in merito dello sciamano, comprese e vide che il loro ospite, col rischio di perdere la vita, aveva visitato lo sciamano stesso. Per questo don Luigi divenne ancora più autorevole e gli fu dato il nome di Yankuam Jintia, ovvero stella della sera che illumina il cammino. Dove il crepuscolo è breve e in un quarto d’ora si passa dalla luce alle tenebre, sorgono paure ancestrali; per questo la luce, nella notte, dona grande speranza. Così lui era recepito!
La luce vera che don Luigi donò fu la traduzione del Vangelo in Achuar, un dizionario della stessa lingua, testi liturgici insieme alla realizzazione di tavole raffiguranti i miti, utili per introdurre il messaggio del Vangelo nella liturgia e renderlo comprensibile usando i simboli e i significati compresi dal popolo stesso. Dopo quasi dieci anni di vita tra loro ci furono i primi battesimi, e verso la fine della sua vita maturarono vocazioni al diaconato.
Durante il sinodo Pan-amazzonico, svoltosi dal 6-27 ottobre 2019, consegnatoci nell’esortazione Querida Amazonia (Amata Amazzonia) del 2 febbraio 2020, Papa Francesco constata che «Già il Concilio Vaticano II aveva richiesto questo sforzo di inculturazione della liturgia nei popoli indigeni, ma sono trascorsi più di cinquant’anni e abbiamo fatto pochi progressi in questa direzione.» (QA 82) Questo sinodo ha incarnato in modo esemplare il messaggio della Laudato sì’ di Papa Francesco, e per questo ha fatto conoscere anche la figura del missionario straordinario che è stato don Luigi Bolla, mancato il 6 gennaio 2013 ed il cui funerale è stato celebrato nientemeno che l’8 febbraio!
Durante il triduo della festa di s. Bakhita lo ricordiamo e lo sentiamo vicino a noi per invitarci con la sua fragile carne di uomo, smagliante di gioia, ringraziare il Signore per i sentieri impervi e i dirupi che incontriamo quando, come direbbe Dante: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.”
Oggi a noi è dato di gioire perché don Luigi non aveva smarrito “la dritta via” anzi, nella selva, come lo stesso Dante nel suo viaggio spirituale, ha aiutato molti fratelli indigeni a scoprire il senso della loro vita, l’amore misericordioso di Dio che cerca tutti, anche nella selva, ma soprattutto nelle tenebre del cuore, camminando con loro verso la luce. “Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, dimora nella luce e non v’è in lui occasione di inciampo.” (1Gv 2, -9-10)
Gli Achuar da popolo guerriero sono diventati popolo di pace. Così come i discepoli di Emmaus hanno riconosciuto nel loro ospite Gesù stesso e sono corsi ad annunciarlo alla Chiesa, ora, allo stesso modo, il popolo Achuar riconosce in don Luigi la visita di Gesù. L’hanno riaccompagnato nella loro terra trasportandolo da Lima, dove era sepolto, per incontrarlo quale dono di unità e Padre della Chiesa Achuar nella cappella /capanna per lui costruita al confine tra Equador e Perù. In quella cappella ora ci si reca per pregare e ricevere forza spirituale prima delle grandi scelte di vita cristiana.
A Schio, lo scorso 19 novembre, a conclusione di una tavola rotonda su di lui è stato benedetto un quadro realizzato dall’artista scledense Giovanni Canova, lo stesso che ha anche raffigurato s. Bakhita all’entrata della nostra scuola. Il nuovo quadro sarà esposto nella sala in cui si ritrova la comunità della parrocchia della SS. Trinità per momenti culturali e ricreativi, fino a quando, anche lui potrà essere pregato nelle nostre chiese. Il dono della sua contemporaneità ci doni creatività, per vivere tutti come fratelli e sorelle, sotto lo stesso cielo e sguardo paterno del Creatore.