1915 – 1919 L’OPERA CANOSSIANA A SCHIO E S. BAKHITA
Al sopraggiungere della Prima Guerra Mondiale la casa canossiana di Schio, con il suo complesso di opere in edifici da poco stati ristrutturati, si trovò a dover cedere il passo ad altre cure, da una parte per mettere al sicuro le giovani vite che ‘coltivava’ e dall’altra per offrire cure materne a soldati che giungevano feriti dal fronte.
In una sintesi della cronaca di quegli anni si legge «Il 1915, anno di lacrime e di sangue, doveva portare un forte perturbamento alla vita dell’Istituto; e così gli anni successivi fino alla cessazione dell’immane flagello, la guerra. I soleggiati dormitori, sia della Pia Casa di Nazareth (orfanatrofio) che dell’educandato, le vaste aule scolastiche, sia quelle adibite per uso delle giovani interne, che delle giovani esterne, il teatro, la chiesa, la cucina, i refettori, le lavanderie, le terrazze e gli spaziosi cortili, tutto fu fatto servire ai bisogni delle truppe.» [1]
M. Genoveffa De Battisti ci dice cosa accadde ai frequentatori abituali della casa. «Nel 1915 la guerra tronca quasi tutte le opere di carità. Educande, orfane e gran parte delle Madri (si chiamano così le religiose) vanno disperse profughe. Gli ambienti si trasformano in ospedale militare, alloggio per Dame della Croce Rossa, cucine, rifornimento e simili. Si prestano per qualche tempo ad uso delle scuole maschili e femminili comunali. Le suore rimaste prodigano servizio di carità materiale e spirituale ai feriti di guerra per circa 3 anni.»[2]
Altre fonti confermano: «In particolare, durante il primo conflitto mondiale, la Croce Rossa operò con efficienza nella gestione di due ospedali di prima linea situati presso l’oratorio salesiano (numero distintivo 0.73) e l’Istituto Canossiano (numero distintivo 0.55). […] Nell’altro ospedale [delle canossiane], a fianco delle crocerossine, operarono anche alcune suore dell’Istituto, tra cui madre Bakhita»[3].
Un riassunto della cronaca della casa di quegli anni offre altri particolari: «Sopraggiunge la guerra del 1915. Dispersione delle opere di carità, chiuse le scuole, l’educandato profugo a Mirano Veneto, l’orfanatrofio trasformato in ospedale militare: le crocerossine, il deposito rifornimenti, le cucine, le truppe, occupano quasi tutto il rimanente locale. Vi sono tende e baracche di isolamento fino nell’orto e carri radiologici in mezzo ai cortili. Rimane però la superiora e un nucleo di suore, [“tra le quali M. Bachita”[4]], (superiora M. Angela Torresan) per l’assistenza ai feriti e per la custodia della casa. Pericoli d’ogni genere e movimento incessante di soldati al giorno e alla notte. Arciprete di Schio Mons. Elia Dalla Costa (arcivescovo di Firenze) che veglia e incoraggia le Figlie della Carità. Altrettanto il Cappellano Militare P. Bortolomeo Cesaretti Cappuccino. Il bene vien fatto in campo diverso, ma sempre bene.»[5]
Alleghiamo dei documenti che testimoniano il succedersi dell’uso dei vari ambienti della casa, dall’8 maggio 1915 al 20 gennaio 1919, come ospedali militari[6].
In altro scritto si specifica il servizio delle religiose: «Scoppiata la guerra europea, la Casa Nazareth fu chiusa e tosto riaperta ad uso degli Ospitali della Croce Rossa, mentre le Suore Canossiane prestarono gratuitamente il loro servizio agli ammalati e feriti soldati.» Lo stesso documento chiarisce il succedersi di più ospedali, situazione particolare verificatasi anche se, normalmente, in un luogo c’è un solo ospedale della Croce Rossa: «Non è a dire quante furono le spese per porre a pristino l’Orfanatrofio e le preoccupazioni per rifornire di suppellettili e di arredi la Casa Nazareth, ormai spoglia di ogni cosa, perché quasi tutto era stato sciupato o distrutto dalle truppe di passaggio o dalla dimora dei giovani arruolati e messi a riposo nella stessa Casa di Nazareth, nel periodo di scambio dei vari ospedali della Croce Rossa.»[7] «Feriti e convalescenti trovarono in quelle tristi e sanguinose giornate, nella quiete serena del Pio Istituto, un tetto amico che li ospitava; nelle Venerabili Figlie della Carità che, conscie del proprio dovere sono rimaste al loro posto di combattimento, delle buone e pazienti infermiere con la parola confortatrice sempre improntata alla carità e all’amore di Cristo.»[8]
Questi riferimenti offrono dati essenziali che aiutano a ricostruire le molteplici sfaccettature della situazione educativa, catapultata quasi completamente altrove, per l’emergenza della guerra che chiedeva di offrire un estremo soccorso a giovani vite.
Ci addentra in questa esperienza la prospettiva degli eventi vissuta da chi si trovò, in brevissimo tempo, ad assolvere un ben diverso ruolo materno da quello abituale all’Istituto, e dovette riorganizzare tutte le proprie cure ed opere di misericordia. «Misure di prudenza decisero i superiori di mettere in salvo educande e orfane e di tenere soltanto in piedi – finché sarebbe stato possibile – le scuole popolari, le classi di catechismo, gli oratori festivi. Ma eccoti alla requisizione dei liberi locali, per introdurvi effetti militari (cucine, depositi di viveri, di medicinali, di vestiario); per preparare sale di operazione, corsie per malati, posto buono pel carro radiologico, capannoni d’isolamento e baracche per i morti. Se ne vedemmo di gente in quel periodo di guerra!! Medici, capitani, ufficiali, sergenti, artiglieri, bombardieri, soldati di riserva, sacerdoti in grigio-verde, dame della croce rossa, e malati, feriti, moribondi nei vari ospedali da campo, che si alternarono, senza un giorno di sosta, dal principio al termine della guerra, entro la cerchia del nostro Istituto. Quindi arrivi e partenze a tutte le ore del dì e della notte… 100, 130, 150 che giungevano dal fronte col braccio o la gamba stroncata, col cranio sanguolento, coll’udito offeso o le pupille accecate per l’esplosione delle bombe a mano. Quasi ogni mattina due o tre funerali che uscivano in silenzio, celermente, dal portone dell’ala rustica. Venivano spesso di lontano, magari dalla Sicilia – chiamate per telegramma all’ultima ora – le mamme o le spose di giovani eroi, di cui speravano raccogliere l’estremo anelito, venivano, dico, ch’essi erano già sepolti nel vicino cimitero. Ed era uno strazio ascoltare i pianti, le grida disperate, le nenie angosciose che nessuno poteva calmare. Le poche suore rimaste sulla breccia anche nel pericolo più tragico, erano testimoni di tutto, partecipavano a tutto, vivevano la guerra nelle sue più tristi conseguenze. E sulle piaghe dei cuori infranti, spargevano delicatamente il balsamo della carità. Tre sorelle prestarono servizio attivo nell’ospedale per più di due anni.
Il 17 giugno del 1916 la Duchessa d’Aosta venne a visitare l’Istituto che poteva dirsi un accampamento militare in pieno assetto; restò ammirata dell’ordine che regnava là dentro e fece alla Superiora calde congratulazioni. Nell’educandato sostò a lungo. Seduta sul davanzale d’una finestra delle classi, non sapeva staccare lo sguardo dal quadro incantevole dei monti e dei colli, che donano a Schio un aspetto veramente simpatico. Ma ohimè! Dietro quei monti ruggiva una bufera infernale, che andava intensificando ogni giorno di più. Il nemico era giunto a 12 Km. circa dalla città e si parlava di prossima invasione con relativo bombardamento. Infierivano le malattie contagiose che decimavano i soldati e la scarsa popolazione rimasta.»[9]
Come emerso dalle fonti citate, sia dell’Istituto che civili, la “Madre Moretta”, ora santa Giuseppina Bakhita, rimasta in casa e, come sempre, incaricata della cucina della comunità, si prodigò anche per gli ammalati. Il cappellano militare cappuccino, p. Bartolomeo, dice che alla domenica l’incontrava nelle corsie dell’ospedale n° 55, insieme alle sorelle infermiere che aiutava e che era molto stimata non solo dalle canossiane ma «Era assai stimata e trattata con venerazione da tutti i soldati. Avevano grande rispetto e stima anche gli increduli. Tutti avevano il concetto che si trattasse di un’anima straordinaria. […]
Quando gli ufficiali e i soldati la interrogavano […] era prudentissima […] sia di fronte ai soldati che a chiunque. Gli ufficiali medici spesso parlavano della suora africana ammirandola per il suo continuo lavoro che disimpegnava sempre con calma, serena e umile.»[10] «Come pregava per i soldati perché si salvassero l’anima quando sentiva le granate!»[11] Ci dice m. Anna Dalla Costa, la sorella che più le è stata vicina durante il lavoro, che «si commoveva alle loro sofferenze e li spronava all’amore di Dio. […] Fece molto bene ai soldati infermi […] Aveva un’arte tutta particolare nel confortare i moribondi e coloro che stavano per essere operati: e sembrava che trasfondesse in loro la sua fortezza e serenità. Era riservata nel trattare con i soldati».[12]
M. Walburga Ricchieri conferma che «aveva per i soldati sollecitudine e tenerezze, per arrivare a far del bene alle loro anime. […] Accettava serenamente difficoltà e privazioni: inculcava serenità agli altri sia militari che civili.»[13]
Ida Zanolini, l’autrice della prima biografia di Bakhita “Storia meravigliosa”, pubblicata nel 1931, ebbe la gioia di ascoltarla a lungo a distanza dagli eventi; ricorda che «in particolare nella guerra del 1915-1918 si industriava per confortare i militari feriti […] e con frasi opportune li eccitava a fare una buona confessione».[14] Questo era ciò che era rimasto nel cuore di Bakhita.
L’aiutante di Bakhita, m. Maddalena Calesella, ricorda la sua delicatezza «durante la guerra, quando cadevano le granate sui monti vicini a Schio, diceva con dolore: “Poveri soldati! Povere mamme che perdono le loro creature!” Pregava il Signore ad aiutarli ad accettare.»[15] Si ricorda anche che «mandava nel rifugio con le patate da sbucciare chi l’aiutava in cucina mentre lei restava al suo posto.»[16]
Questi pochi accenni a Bakhita dicono perché la Chiesa abbia ponderato l’eroicità delle virtù, da lei esercitate anche in quei frangenti bellici, quale esemplare Figlia della Carità Canossiana.
«Quando Dio volle il cannone ebbe un po’ di tregua e si poté riattivare qualche opera di carità. Tornarono alcune educande del corso tecnico e delle classi elementari. Ma toccò ad esse, non meno che a noi, un caso veramente grave, nel giorno dell’Annunciazione, 25 marzo 1918.
Erano appena uscite di Chiesa dopo una S. Messa solenne cantata dalle Figlie di Maria per festeggiare il XXV di Sacerdozio del Rev.do Cappellano militare e stavamo facendo colazione sotto lo sguardo della loro Madre e Maestro. Che è, che non è… passa improvviso sul capo come una folata di vento rabbioso; le pareti tremano e una pioggia di vetri cade sul pavimento, sulle tavole, nelle tazze ripiene. Una delle minori – mi par di vederla – ha il capo biondo, tempestato di quei falsi brillanti; le altre ne hanno sul collo, sulle spalle, nelle mani. Si guardano atterrite. Sotto i piedi freme la terra, gemendo, rombando con suono cupo, quasi prossima al suo sfacelo. In quattro anni di guerra, in un luogo pieno di pericoli e di sorprese, nessuna aveva mai avvertito un fenomeno simile. Incognita tremenda. La Suora imita la chioccia che raduna i suoi pulcini all’avvicinarsi dell’uragano: chiude in un largo abbraccio le sue educande, infila una scala poco lontana, e così, stretta ad esse per forza d’amore e di terrore, le porta nell’angolo più remoto del sotterraneo, formando un grappolo umano. E il mugolio della terra e dell’aria diviene sempre più spaventoso. Ella confessa francamente d’aver supposta la fine del mondo, tanto la cosa sembrava inspiegabile e formidabile insieme. Intanto nella Casa si verificano strani disordini per lo spostamento delle correnti aeree; cadono alcune imposte, le cornici dei quadri si spostano, schegge di usci son lanciate lontano, mentre continua il grandinare dei vetri, che ingombrano i passi nelle stanze, nel cortile, lungo i viali del giardino. Oltre 400 lastre sparite in pochi minuti e… meraviglia!.. senza la minima ferita o scalfittura di chi poteva morirci sotto.
Finalmente l’agitazione della natura pare cessata: le educande escono dal rifugio pallide e costernate e tornano a rivedere il sole, che ride ride su tanta rovina. È si viene a sapere che è scoppiato un enorme deposito di munizioni – 300 quintali circa – in una villa detta “La Pisa” situata nell’aperta campagna presso Malo Vicentino.
Ultimo episodio di guerra avvenuto a Schio; ultimo segno di protezione della nostra Fondatrice con tanto amore invocata.»[17]
La stessa scrivente, in altro teso, annota: «Termine del conflitto. La pace. Necessità di riparazioni alla casa gravemente danneggiata anche per l’esplosione della polveriera alla “Pisa”. Si fanno con l’indenizzo del Governo (scarso) ma soprattutto con intervento dei soliti e di altri benefattori. Nei duri cruenti in cui si trova l’Istituto nel “dopo guerra” si distingue per non comuni prestazioni il “Cav. Giuseppe Fochesato” di indimenticabile memoria nell’Istituto Canossiano. In breve rinascono tutte le opere: oratori fiorentissimi, educandato numeroso con classi medie complementari prima, tecniche poi, l’orfanatrofio raggiunge la bella cifra di 90 bambine, per la fiducia dei comitati pro orfani di guerra, specie quelli delle 3 Venezie. Si avviano per esse laboratori di ricamo, cucito, maglieria, sartoria.»[18]
In una sintesi più estesa, che si suppone della stessa M. Genoveffa De Battisti, ella così si esprime: «Finalmente passò anche la guerra: non più il sinistro tuono delle artiglierie di grosso calibro appostate sui nostri monti rosseggianti di fuoco nemico; non più tra le corsie, le sale e i vasti locali dei nostri pubblici Istituti adibiti ad uso di ospedali, le grida strazianti dei mutilati e dei feriti, i gemiti dei moribondi caduti sul campo dell’onore per una patria più grande e più rispettata; non più i trepidanti segnali d’allarme; non più il fragore di bombe ruinanti; ma canti inneggianti alla vittoria e alla pace. Siamo ai primordi del 1919. Passata la bufera anche il nostro Istituto ritorna nuovamente la casa di educazione, la casa, come in passato, della carità e dell’amore.»[19]
Nella sua relazione annuale del Natale 1924, la superiora della casa di Venezia, dando relazione delle case filiali, così si esprime nei riguardi della casa di via Fusinato: «A Schio fu iniziata un’opera nuova che dà vero conforto: l’istruzione settimanale alle madri e ai bambini dei profughi di guerra, che fin dal ’19 si erano stabiliti nelle così dette baracche fuori della Città. In causa della miseria estrema, quella povera gente s’era tenuta lontana dalla Chiesa, e viveva nell’ignoranza più vergognosa delle cose di Dio. Un esimio Sacerdote pensò a loro; provvide pane, vesti, denaro e l’istruzione, per redimere tanta miseria e affidò il compito di distribuire il duplice soccorso, alle Madri Canossiane.»[20]
La carità si moltiplica donandosi, questa la profezia di umile amore narrata da questo epilogo. Questa la storia che fa germinare Cristo in chi non lo conosce e non lo ama.
Conceda il Signore anche a noi – oggi – la gioiosa profezia dei piccoli del Regno che in Lui Crocifisso accolgono la speranza per farne dono all’umanità.
NB: Le foto d’epoca sono del Fondo Dalla Ca’.
Le altre immagini del cappellano militare e crocerossina sono foto della mostra indicata dal poster, così come l’angelo del catafalco, opera di Romano Cremasco, che tanto ci richiama gli angeli dorati posti nell’altare del santuario di S. Bakhita e, probabilmente, a lui atribuibili.
Sor. Maria Carla Frison fdcc
Schio 2014 / 2022
[1] Archivio Istituto Canossiano Schio, R. 15, Cronistoria dell’Istituto Canossiano di Schio, 1864 – 1834, cart. 2, doc. 6, pg. 8.
[2] Archivio Istituto Canossiano Schio, Cronistoria dell’Istituto canossiano- Schio, Fondaz. d. Casa in V. Fusinato, R. 15, cart. 2, doc 7, pg. 2.
[3] Rita Emanuela Rosa, Massimo Chilese, Una presenza costante a Schio: la Croce Rossa, in Claudio Menin, Schio numero unico 2005, pg.21-22. Così continua la citazione: «Finito il primo conflitto, la Croce rossa, grazie alla dedizione dell’Infermiera Volontaria Bice De Munari, ha continuato la sua attività assistenziale, sia a livello locale che zonale.» Si noti che la documentazione fotografica degli eventi qui citati proviene dal fondo di questa crocerossina presso la Biblioteca Civica di Schio.
[4] Archivio Istituto Canossiano Schio, Cronistoria dell’Istituto Canossiano di Schio, R. 15, cart. 2, n° 8, pg. 1; si noti che Bakhita è scritto con la grafia adottata fino agli anni ’60. Tutti i documenti dell’archivio canossiano sembrano dipendere l’uno dall’altro pur presentando ciascuno quelle differenze che indicano le conoscenze proprie delle autrici come pure l’uso per cui il documento era stato scritto.
[5] Archivio Istituto Canossiano Schio, Istituto Canossiano, V. Fusinato – Riassunto fatto nel Dicembre 1945, R. 16, doc. 5, pg. 5-6.
[6] Archivio Istituto Canossiano Schio, Memorie, R. 15, cart. Memorie Casa di Schio, 8; il documento risulta essere la copia originale, pur in forma di minuta, della trascrizione dello stesso da parte del Dalla Ca’, storico scledense, di cui si è trovata una bella copia nella Biblioteca Civica di Schio (cf. Occupazione Militare = Istituto Canossiano = Schio, Memoria dei locali adibiti per depositi ed Ospedali Militari, archivio Dalla Ca’, 31D). Il foglietto manoscritto da entrambi i lati, conservato nell’archivio canossiano, presenta in calce le aggiunte e correzioni fatte da chi in casa (probabilmente la superiora m. Angela Torresan) aveva verificato i fatti prima che le informazioni fossero divulgate dallo storico Dalla Ca’. Lo si comprende per le correzioni fatte con una calligrafia diversa dal testo iniziale. Il documento cita tre numeri di ospedali militari: 095, 55, che dal novembre al dicembre 1918 cambiò in Ospedale Sanità col n° 102. Il foglietto conservato nell’archivio canossiano apre con la data “Agosto 1916” e la prima parte (scritta dal Dalla Ca’, si suppone) è dunque stata completata successivamente visto che l’ultima data è quella del 1919. I due documenti differiscono ancora per l’intestazione che risulta essere solo la parola “Memorie” nel documento d’archivio canossiano e l’espressione finale “Molta rovina, nessun compenso”, che non è stata riportata nella bella copia del Dalla Ca’.
[7] Archivio Istituto Canossiano Schio, Copia della Storia della “Fondazione della casa di Nazareth di Schio”- Allegato n° 1, R. 15, cart. Memorie Casa di Schio, doc. 10, pg. 1.
[8] Archivio Istituto Canossiano Schio, Riassunto Cronaca dal 1864 al 1834, R. 15, cart. II, doc. 6, pg. 8.
[9] Genoveffa De Battisti, La grande guerra mondiale 1915-1918, in FDCC – Roma (ed), 1835-1935 Maddalena di Canossa primo centenario della sua morte, Roma-Milano 1936, pg. 72.
[10] Sacra Rituum Congregatione, Iosephinae Bakhita, Positio super causae introductione, Roma 1966, pg. 160-162.164.
[11] Sacra Rituum Congregatione, Iosephinae Bakhita, Positio super causae introductione, Roma 1966, pg. 156.
[12] Sacra Rituum Congregatione, Iosephinae Bakhita, Positio super causae introductione, Roma 1966, pg. 15-17.
[13] Sacra Rituum Congregatione, Iosephinae Bakhita, Positio super causae introductione, Roma 1966, pg. 38.
[14] Sacra Rituum Congregatione, Iosephinae Bakhita, Positio super causae introductione, Roma 1966, pg. 90.
[15] Sacra Rituum Congregatione, Iosephinae Bakhita, Positio super causae introductione, Roma 1966, pg. 156.
[16] Sacra Rituum Congregatione, Iosephinae Bakhita, Positio super causae introductione, Roma 1966, pg. 155.
[17] Genoveffa De Battisti, La grande guerra mondiale 1915-1918, in FDCC – Roma (ed), 1835-1935 Maddalena di Canossa primo centenario della sua morte, Roma-Milano 1936, pg. 72.
[18] Archivio Istituto Canossiano Schio, Genoveffa De Battisti, Cronistoria dell’Istituto Canossiano – Schio, Fondazione d. Casa in V. Fusinato, (scritto nel 1942), R. 15, cart. II, doc. 7, pg. 2.
[19] Archivio Istituto Canossiano Schio, Riassunto Cronaca dal 1864 al 1834, R. 15, cart. II, doc. 6, pg. 8.
[20] Archivio Casa di Roma, M. Giuditta Tosarin, Circolare natalizia, Istituto Canossiano – Venezia, Natale 1934, p. 2.
E’ possibile scaricare l’intero articolo in pdf a questa pagina, tenendo in debita considerazione le norme di utilizzo scritte in calce alla pagina stessa.