“LIBERATE GLI OPPRESSI” UN DONO PER TUTTI
Inaugurata a Schio la statua di s. Bakhita che accoglie chi bussa
Foto dello svelamento dell’opera in cui s. Bakhita alza una botola per far uscire alla luce gli schiavi d’oggi.
Lo scorso 29 giugno, lateralmente alla chiesa di San Francesco in Schio è stata svelata l’opera di Timothy Schmalz: “Let the oppressed go free” – S. Bakhita libera gli oppressi, parallela a quella di “Angels unaware” – Angeli senza saperlo, che raffigura una barca di migranti ed è stata posta in Piazza San Pietro a Roma. Entrambe sono state volute da Papa Francesco per portare alla luce e far entrare nei nostri cuori fratelli e sorelle in umanità che, oggi, come nei secoli scorsi, hanno cercato accoglienza in patrie diverse.
La presenza del card. Pietro Parolin ha onorato la città di Schio, ma soprattutto ha aiutato a cogliere la cura della Santa Sede per promuovere la dignità umana, quell’accoglienza che dice pace e che nasce dalla “buona volontà” che a Natale contempliamo nei pastori di Betlemme.
L’avvocato Marco Gianesini con maestria ha introdotto i rappresentanti dei gruppi che sono stati coinvolti in prima persona nell’organizzare l’evento.
Il sindaco Valter Orsi, oltre al saluto di benvenuto alle autorità e ai presenti ha esplicitato con convinzione la richiesta di avere anche santa Giuseppina Bakhita quale patrona secondaria della città.
Lo sponsor dell’opera, Christopher Bratty, ha raccontato la sua conversione dall’incredulità alla constatazione di come la tratta sia una rete malefica che si stende nel vissuto sociale. Chi vuole vedere la vede, la scopre nelle grida e nel pianto di chi ci vive accanto.
L’autore dell’opera, Timothy Schmaltz, ha spiegato la sfida da lui sperimentata nell’accostarsi a tanto dolore umano. Ogni figura è reale, e in Bakhita ha visto la bontà di “aprire la porta degli inferi” per offrire ai suoi fratelli e sorelle la speranza della luce, che è vita, umanità, giustizia, dignità.
La superiora generale delle Canossiane, Madre Sandra Maggiolo fdcc, ha colto la missione attualissima che chiede l’audacia di fare di più, ovvero di lasciare che il Signore ci usi per il bene comune dell’umanità, per salvare i poveri e farlo insieme.
La coordinatrice internazionale della rete Talitha Kum, suor Abby Avelino MM, di origine filippina, appartenente alle suore di Maryknoll, ha presentato l’impegno internazionale delle religiose per offrire prevenzione e cura a chi è schiavizzato.
Il Segretario di Stato della Santa Sede, cardinale Pietro Parolin, ci ha invitati a vedere non solo chi la statua raffigura ma chi è ancora nel tunnel da cui s. Bakhita facilita l’uscita. Non è forse che l’individualismo pone ciascuno di noi nella solitudine di quelle tenebre? L’invito è stato ad uscirvi, ad accogliere l’esempio magistrale di s. Bakhita, a vivere come città questa missione che cura le ferite di un’umanità ferita.
Il Coro dell’Arcangelo Michele e il Coro Ges hanno ben rappresentato la coralità di una città che vuole esprimere accoglienza reciproca, essendo i loro membri sia di origine locale che di altre nazioni, e proprio questi ultimi ci hanno proposto i canti di santa Bakhita con maestria; era presente anche il compositore Giuliano Bianchi, che ne ha composti due, memore dei suoi ricordi di fanciullo di Madre Moretta.
Lasciami fare di più! È come se ognuno abbia sentito bussare alla porta che s. Bakhita dischiude e che è il nostro cuore. “lasciami fare di più” è la richiesta che ci è giunta anche dalla celebrazione eucaristica dove il Kyrye ci ha permesso di riconoscere le nostre inadempienze mentre la Parola di Dio, spezzata dal card. Parolin, ci ha esortati a non avere paura della santità, fatta di scelte di prossimità, di bontà, di coraggio di lasciarci usare dal Signore per il suo regno dove l’unica grandezza è quella dell’amore.
Tra i convenuti, qualcuno ci ha confidato di sentire nel cuore la spinta ad impegnarsi per la causa dell’anti-tratta con la propria vita e con le proprie ricchezze. Abbiamo vissuto insieme la chiamata ad una missione, ad un percorso di conversione che dona occhi nuovi per una vita nuova, gioia vera. Ed è bello sapere che è il Signore stesso che bussa alla porta del nostro cuore per entrare, anche lui vuole uscire dalle tenebre alla luce per fare di più in noi… a noi continuare a seguirlo con l’umiltà di s. Bakhita. Possa il seme della fraternità universale, gettato al largo da santa Bakhita, essere dono per tutti di integrazione e speranza.
Associazione Bakhita Schio-Sudan e Sorelle canossiane convenute con sor. Abby Avelino, il card. Parolin e il sindaco Valter Orsi.
Da oltre 25 anni il canadese Timothy Schmalz realizza sculture di grandi dimensioni e le sue opere sono installate in tutto il mondo. Tra le più famose quella dedicata ai migranti, ‘Angels Unaware’ (“Angeli inconsapevoli”), inaugurata da Papa Francesco in piazza San Pietro a Roma nel 2019, in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Il suo ultimo lavoro, però, è “Let the Oppressed Go Free” (“Liberate gli oppressi”).
Per 6 metri di lunghezza, 1,2 di larghezza e 2,4 di altezza, la scultura in bronzo vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno del traffico di esseri umani ed evoca la figura di Santa Giuseppina Bakhita, protettrice delle vittime della tratta. “Let The Oppressed Go Free” si ispira a un passo biblico (Isaia 58:6): “Questo è il digiuno che voglio – oracolo del Signore -: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo’. Schmalz descrive il suo lavoro come una traduzione visiva della Bibbia.
Come è nata l’idea di realizzare una scultura dedicata alla lotta contro la tratta di esseri umani?
«L’idea è venuta dal cardinale Michael Czerny (prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, ndr) dopo la creazione dell’opera ‘Angels Unawares’. L’uso di sculture monumentali per affrontare tematiche “monumentali” è un ottimo modo per promuovere le idee e tematiche care a papa Francesco. All’epoca non sapevo molto della tratta di esseri umani, ma mi sono proposto di fare qualcosa di straordinario per portare l’attenzione sulle preoccupazioni profonde del Santo Padre».
Osservando la scultura traspare la sofferenza nei volti delle persone ritratte. Ritiene che l’arte abbia una forza comunicativa più impattante, soprattutto quando si parla di temi complessi e a volte poco conosciuti?
«Lavorando a questa scultura, mi sono reso conto che il traffico di esseri umani è un problema molto più grande di quanto la maggior parte delle persone creda. Volevo inserire all’interno della scultura tutte le diverse sfaccettature e volti del traffico di esseri umani, di conseguenza avevo bisogno di molti ‘protagonisti’. Spesso è difficile mettere in luce e aumentare la consapevolezza sul fenomeno della tratta degli esseri umani perché non esiste un solo “volto” di questo complesso problema. Spesso viene rappresentato o immaginato come una donna vittima del traffico sessuale, immagine che esclude visivamente le altre vittime: come chi subisce il traffico sessuale maschile, i lavori forzati, oppure il traffico di organi. Per essere autentico rispetto alla complessità della tematica, ho dovuto creare un’opera di grandi dimensioni, lunga più di sei metri. Penso spesso che queste persone siano completamente invisibili, o clandestine, nel nostro mondo. Ma nella scultura non sono solo visibili, ma rappresentati nel bronzo».
Che cosa l’ha portata a scolpire opere a tema cristiano? Le sue opere sono “traduzioni visive della Bibbia”, che cosa significa anche in relazione alla citazione di Isaia che dà il titolo all’opera installata a Schio?
«Mi piace che il titolo sia un passaggio delle Scritture, e credo che aggiunga enfasi all’opera. È un invito all’azione ed è connesso alla nostra fede. Diventa un dovere spirituale aiutare. Non solo sono cattolico, ma la mia arte è prevalentemente cattolica. La sfida di portare consapevolezza della nostra fede attraverso opere d’arte, esprimendo le verità eterne che si trovano nella Bibbia, mi sostiene con un’energia infinita. Nessun altro argomento mi dà questa energia. Sento anche il senso di urgenza perché man mano che la società diventa più laica, credo che abbiamo bisogno di evangelizzare ancora di più in un modo che le persone possano vedere e apprezzare il messaggio biblico».
Realizzare questa scultura l’ha avvicinata anche a Santa Bakhita, come si è rapportato alla sua figura?
«Non esiste una figura migliore di Bakhita per diffondere il messaggio di questa scultura. La maggior parte delle persone pensa che la schiavitù sia stata sradicata 150 anni fa. Bakhita e la sua storia sono l’inizio della scultura, ma ci mostrano anche che la schiavitù rimane ed è ancora presente nella nostra società. Bakhita, attraverso la brutale schiavitù che ha vissuto, ha conservato il suo amore per l’umanità e la Speranza: un modello per la nostra società sofferente ».