Il seme iniziale
È nel tempo che vanno ricercati i doni dello Spirito.
Per comprendere la storia dell’Istituto Canossiano di Schio occorre conoscere Chiara Antonia Dalla Piazza. Era il 13 maggio del 1804 quando Chiara nacque a Schio, terzogenita di Giovanni Battista e Regina Chemin. In famiglia conobbe presto il dolore, prima quello della perdita del fratello Bortolo Girolamo (il primogenito Bortolo Giuseppe era morto prima che lei nascesse) e qualche mese dopo, il 2 marzo del 1811 quando aveva solo sette anni, quello della morte della giovane mamma di soli 45 anni. Sei anni più tardi moriva anche il padre e Chiara, rimasta sola, ebbe per tutore lo zio Bortolo, religioso in Schio.
Durante l’adolescenza Chiara venne a conoscere l’opera di Santa Maddalena di Canossa forse attraverso una giovane maestra che portò a Schio l’esperienza vissuta a Venezia. Di questo legame della Fondatrice con Schio ne è testimonianza una lettera del 19 giugno del 1819 in cui la Canossa si dice dispiaciuta di non aver potuto incontrare a Venezia una giovane di Schio venuta per il primo seminario da lei organizzato per le cosiddette “Maestre di Campagna” o “Maestre Apostole”, come le chiameremmo oggi. Il seminario aveva lo scopo di preparare queste giovani mastre per rispondere ai bisogni dei luoghi dove l’Istituto nascente non poteva ancora aprire una comunità; era un seminario residenziale con metodo formativo assolutamente innovativo, per la formazione femminile.
Chiara, rimasta unica superstite della famiglia, andava maturando il desiderio di seguire l’esempio di Santa Maddalena di Canossa. Cominciò col vivere tutta dedita alle fanciulle prive di famiglia e di cure. Alla morte dello zio avvenuta nel 1828, ereditò tutti i beni di famiglia e nel 1830, con la guida dell’arciprete di Schio, mons. Gaetano Greselin, che da tempo tentava con scarso successo di dare risposta ai bisogni delle ragazze orfane, ella stessa fondò nella sua casa una scuola per le fanciulle più povere e abbandonate della città. Fu questo il seme iniziale dell’Istituto Canossiano di Schio. I documenti dell’epoca, seppur molto pochi, ci raccontano di questa realtà con entusiasmo e ci fanno conoscere Chiara, donna molto attiva e premurosa verso i poveri.
Chiara, Figlia della Carità Canossiana
Da tempo Chiara sentiva il desiderio di entrare nell’Istituto di Maddalena di Canossa; questo suo cammino spirituale non deve essere stato facile viste le diverse lettere intercorse tra Chiara e Maddalena nelle quali l’ardente desiderio di Chiara di unirsi al nascente Istituto fu contrastato da chi la desiderava a Schio, non sapendo come sostituirla nell’opera essendo lei anche la proprietaria della casa dove questa era sorta. Dalle lettere di Santa Maddalena sappiamo che si tentò più volte di inserire nell’opera di Schio una maestra di fiducia, preparata allo scopo, ma senza successo e la partenza di Chiara era sempre ostacolata e ritardata.
Maddalena di Canossa, morì il 10 aprile 1835 senza vedere Chiara Canossiana.
Finalmente il desiderio di Chiara si concretizzò: l’anno successivo infatti entrò in Noviziato a Venezia il 2 marzo del 1836, giorno anniversario della nascita della Madre.
Le sorelle canossiane che per vent’anni hanno vissuto con lei, profondamente edificate dall’obbedienza e umiltà di Chiaretta, così la chiamavano come già aveva fatto la Fondatrice, la definirono “essere come il sale nella casa del Signore”. Di corporatura esile e fragile si prodigava nel servizio di poveri e ammalati e, anche quando la malattia la chiamava a riguardarsi, non si risparmiava, nonostante le fosse stato dato l’aiuto delle sorelle più giovani. Morì di idropericardite Il 24 (25) novembre del 1856.
Il 2 Luglio 1864: l’arrivo delle Canosiane a Schio
Con l’entrata di Chiara fra le Figlie della Carità Canossiane, l’opera di Schio per le fanciulle povere ed orfane ne risentì molto e conobbe alterne vicende.
Dapprima, se ne prese cura Mons. Greselin, arciprete del Duomo, che tentò una collaborazione con mons. Farina e le suore Dorotee da lui appena fondate. Ma, dopo alcuni anni in cui la collaborazione sembrava portare buoni frutti, sorsero varie difficoltà che si risolsero nel 1847, con il ritiro di queste buone religiose dall’opera.
Per la casa di Schio iniziò un periodo difficile. Era il tempo dei moti rivoluzionari per l’unità d’Italia.
Mons. Alessandro Garbin, intuì che la fede sarebbe rimasta ben oltre la precarietà sociale ed istituzionale, si interessò dell’opera, investì il suo patrimonio, ne riscattò la proprietà in perpetuo con commutazioni di beni dati ai destinatari dei beni di Chiara, e l’8 giugno del 1850, riuscì nell’intento di dare avvio alla costruzione della Chiesa della Sacra Famiglia, con la posa della prima pietra, da lui fatta progettare da Bartolomeo Folladore, a pianta circolare in stile neoclassico, con dimensioni di ⅓ del Pantheon di Roma.
In questo tempo il canonico Alessandro Garbin, incaricato della disciplina e degli studi di questa piccola opera in Schio, non smise di tenere i rapporti con la Congregazione Canossiana e il 2 luglio del 1864 giunsero a Schio sei Sorelle provenienti da Venezia accompagnate da madre Luigia Navoni, superiora della casa di S. Alvise, la quale in una lettera descrive il loro arrivo a Schio dove sostò per qualche tempo per avviare l’opera.
Una presenza attenta e operosa
Nata tra i moti del Risorgimento e il costituirsi dell’Unità d’Italia, la vita della Comunità canossiana iniziò nella semplicità. Quella delle canossiane fu una presenza attenta e operosa che si prestava a condividere la vita con la popolazione impegnata nei vari lanifici ed in particolare nel Lanificio Rossi il quale trasformò la cittadina di Schio in una piccola Manchester.
Le Madri (così vengono chiamate le Suore Canossiane), desiderose di insegnare le arti locali alle giovani a loro affidate per dare loro un futuro, si fecero promotrici di scuole di ricamo, di maglieria, di tessitura e di riparazione pezze, settore, quest’ultimo, necessario all’industria tessile che, per non buttare quelle difettate, cercava personale qualificato per recuperare questi tessuti.
Così, nello spirito della fondatrice Santa Maddalena di Canossa, dalle Canossiane non solo si educavano le fanciulle ad una ricchezza di vita di fede e di cuore, ma si dava loro anche la possibilità di imparare a mantenersi, di affermarsi nella vita e di riscoprire il ruolo attivo della donna nella società, processo storico che, con il tempo, porterà il mondo femminile alla sua emancipazione dovunque questo stile educativo si diffuse.
Non ultimo, il parroco Greselin nell’accoglierle sottolineò, come già aveva fatto mons. Francesco Zoppi a Milano, che finita la scuola le Madri Canossiane avrebbero continuato ad essere Madri, cioè ad essere disponibili alle giovani che avessero cercato la loro “spirituale confidenza” ad accompagnarle nella ricerca della propria vocazione offrendo al ceto femminile gli Esercizi spirituali così come Ignazio di Loyola faceva con quello maschile.
L’inaugurazione della Chiesa e l’arrivo di Madre Bakhita
L’amorevole attenzione della Provvidenza fece sì che il 13 ottobre del 1901 si arrivasse finalmente alla solenne benedizione del Tempio della Sacra Famiglia dopo aver pregato il piccolo Gesù di Praga, per questo se ne stabilì il culto il 25 novembre di ogni anno.
L’anno successivo, tra la curiosità e lo stupore di tutti, giunse proprio a Schio una figura che sarà destinata a rimanere nel cuore degli scledensi e di tanti fedeli nel mondo, la canossiana suor Giuseppina Bakhita.
Con la popolazione di Schio anche lei visse i terribili anni delle due guerre mondiali.
Il 1915-1918 vide le Sorelle della casa di Schio adoperarsi in prima linea, non solo nell’accudimento delle giovani, ma anche nell’attività di cura ai feriti di guerra, essendo diventando l’Istituto sede di ospedali da campo che si succedettero l’uno all’altro. Anche M. Bakhita, sempre incaricata della cucina, dedicava il suo tempo ad assistere l’infermiera ed a consolare i soldati che, nei brevi incontri con cui li intratteneva, preparava alla vita del Cielo mentre loro pendevano dalle sue labbra come bambini. Se poi venivano a mancare, allora la consolazione del suo cuore toccava quello delle loro spose o mamme che spesso giungevano dal sud d’Italia dopo i funerali dei loro cari.
Gli anni 1940-1945 videro Schio rassicurata da M. Moretta che aveva ripetuto più volte che sulle case della città le bombe non sarebbero cadute. In questi durissimi anni di guerra la comunità di Schio non fu lasciata sola; molte persone buone si prodigarono per aiutarle e continuarono a farlo anche dopo nel periodo della ricostruzione.
Il dopoguerra testimonia come quella delle Canossiane a Schio sia la storia di una presenza sollecita e lungimirante, mai interrotta, capace di cogliere i cambiamenti in atto e di dare vita a questa o quell’opera come i nuovi bisogni di volta in volta richiedevano.
Nel 2014 si è celebrato il 150° di presenza dell’Istituto Canossiano a Schio. È stata un’occasione molto bella e sentita per riandare alle origini e fare memoria di Madre Chiaretta colei che l’aveva sognata, per cogliere il coraggio delle Madri di dare vita alle varie evoluzioni dell’opera nel tempo, per riflettere sul cammino che si è fatto e per avere il coraggio di continuare con semplicità e fermezza imparando a dire, come ci insegna Papa Francesco: “Permesso, Grazie, Scusa”, parole generative che muovono le Madri canossiane a continuare a spendersi nel loro servizio quotidiano per dare risposta ai bisogni dell’uomo di oggi, primo fra tutti quello far conoscere Gesù, l’unico vero Bene della vita. La Carità è come un fuoco che apre ad un amore senza confini come ha intuito Santa Maddalena di Canossa che amava ripetere: “Soprattutto fate conoscere Gesù: gli non è amato perché non è conosciuto”.
Grazie Bakhita
Bakhita è la Figlia più bella di questa Comunità e ancora oggi la sente viva e presente più che mai. La sua vita, già scolpita da terribili vicende di schiavitù e degrado, che umanamente avrebbero atterrito lo spirito di ogni persona, col suo sorriso buono e parlata veneta, continuò a far brillare la luce divina che, non solo le permise di rialzarsi, ma di essere lei stessa dono di speranza per chi ebbe la fortuna di incontrarla durante la sua semplice vita di servizio.
Di pelle nera e di bella presenza, non passava certo inosservata mentre si spendeva nel servizio in portineria ad accogliere la gente, o in cucina ad aiutare e servire, o rimanendo tranquilla sotto i bombardamenti che tanto hanno impaurito la popolazione. Pur non avendo un percorso di studi regolare e sapendo comunicare quasi esclusivamente in dialetto veneto, usava benissimo la parola del cuore così che la “Madre Moretta” venne presto ad essere un punto di riferimento importante per tutta la comunità di Schio e non solo, mettendo alla prova il suo desiderio di raccoglimento, di vita semplice e povera, detestando anche qualsiasi tipo di attenzione riservatale per la sua diversità.
L’8 febbraio del 1947, dopo una lunga malattia, madre Bakhita muore lasciando un profondo senso di vuoto colmato dall’incessante ricordo di lei e dell’opera delle sorelle Canossiane che, con serenità e fatica, hanno sempre continuato e tuttora continuano nella loro opera di accoglienza ed educazione delle giovani generazioni, delle famiglie, dei tanti pellegrini…. Il 17 maggio del 1992 papa Giovanni Paolo II beatifica Bakhita e il 1 ottobre del 2000 la canonizza, inserendone la memoria nell’Ufficio divino della Chiesa. Schio diventa sempre di più una meta per pellegrini che da tutte le parti del mondo vengono a pregarla.